La circolazione atlantica meridionale termoalina (AMOC), un vitale sistema di correnti oceaniche che trasporta calore verso nord, si sta avvicinando a un punto critico, con la potenziale conseguenza di significative perturbazioni climatiche globali prima della fine di questo secolo. Nuove ricerche, pubblicate sulla rivista Journal of Geophysical Research: Oceans il 24 agosto 2025, hanno analizzato 25 modelli climatici, rivelando segnali di indebolimento preoccupanti. Un indicatore di recente identificazione, il flusso di buoyancy superficiale, ha registrato un aumento dal 2020, suggerendo un indebolimento di questa corrente cruciale.
Lo studio prevede un potenziale collasso già nel 2055 in scenari di elevate emissioni, un monito che sottolinea l'urgenza di un'azione climatica decisa. Anche in uno scenario "middle of the road" con un aumento delle temperature globali di 2,7 gradi Celsius rispetto ai livelli preindustriali, il collasso potrebbe verificarsi entro il 2063. Il Commissario europeo per il clima, Wopke Hoekstra, ha definito questi risultati un "serio campanello d'allarme climatico", evidenziando la necessità critica di ridurre le emissioni.
Le ripercussioni di un collasso dell'AMOC potrebbero essere severe. L'Europa potrebbe sperimentare inverni notevolmente più freddi e un aumento delle tempeste, oltre a una riduzione delle precipitazioni che potrebbe impattare la produttività agricola, con perdite stimate intorno al 30%. Sulla costa orientale del Nord America, si prevedono innalzamenti del livello del mare a causa della ridistribuzione delle acque oceaniche. Inoltre, i modelli monsoniche in Asia e Africa potrebbero subire interruzioni, esacerbando le sfide legate alla sicurezza alimentare e alla stabilità economica.
Sebbene la tempistica esatta di un potenziale collasso rimanga oggetto di ricerca e dibattito, con alcuni studi che suggeriscono che un punto di svolta potrebbe essere raggiunto entro il prossimo decennio o due, il consenso scientifico indica un rischio crescente. L'indebolimento dell'AMOC è attribuito a fattori quali l'aumento delle temperature oceaniche e l'incremento del deflusso di acqua dolce dalla fusione delle calotte glaciali, in particolare dalla Groenlandia. La comunità scientifica è unita nell'appello a un'azione decisiva, con la transizione verso percorsi a basse emissioni e il raggiungimento della neutralità carbonica entro il 2050 considerati fondamentali per mitigare questi rischi.