La permacultura, un neologismo coniato dalla fusione dei concetti di “permanente” e “agricoltura”, sta emergendo con forza a livello mondiale come un sistema di coltivazione intrinsecamente ecologico e ben ponderato. Questo metodo, formalizzato nel 1978, sostiene vigorosamente la biodiversità, la riduzione al minimo degli sprechi e il raggiungimento di un equilibrio naturale, ponendosi come alternativa diretta alle pratiche agro-industriali convenzionali. Offre una prospettiva olistica sulla convivenza armonica tra l'uomo e il pianeta, un imperativo sempre più pressante in risposta alle crescenti preoccupazioni sullo stato di salute ambientale globale.
La filosofia che anima la permacultura si fonda su tre pilastri etici fondamentali: la Cura della Terra (Care for the Earth), la Cura delle Persone (Care for People) e la Condivisione Equa delle risorse (Fair Share). Questi assiomi fungono da bussola morale per la progettazione di sistemi resilienti e autosufficienti, la cui applicazione spazia dal piccolo orto domestico fino ai vasti complessi agricoli. È importante sottolineare che tali principi trascendono il mero ambito agricolo, fornendo la base per lo sviluppo di iniziative sociali ed educative orientate alla sostenibilità.
L'attuazione pratica di questo paradigma richiede passaggi chiave e ben definiti. Si inizia con un'attenta valutazione del sito, privilegiando l'uso di specie autoctone e di piante azotofissatrici. Inoltre, si abbandona l'aratura profonda in favore di tecniche di gestione del suolo basate sulla pacciamatura (mulching). La conservazione idrica è un elemento imprescindibile della resilienza del sistema, includendo la raccolta dell'acqua piovana e l'organizzazione delle colture in base alle loro esigenze idriche.
Gli specialisti evidenziano il valore intrinseco della diversità colturale, suggerendo l'introduzione di specie perenni, come gli asparagi, i cespugli di bacche e la consolida maggiore (comfrey), nota per le sue proprietà migliorative del terreno, al fine di garantire una produttività duratura e a basso dispendio energetico.
I pionieri di questo approccio sistemico, sorto come risposta diretta all'esaurimento delle risorse idriche e terrestri, sono gli scienziati australiani Bill Mollison e David Holmgren. Essi iniziarono a sviluppare queste teorie innovative a metà degli anni '70, culminando nella formalizzazione del 1978. La loro motivazione era radicata nell'osservazione di come i metodi di coltivazione intensiva su larga scala stessero inesorabilmente distruggendo la biodiversità e causando la perdita dello strato superficiale fertile del suolo.
In netto contrasto con l'agricoltura convenzionale, la permacultura si prefigge l'obiettivo ambizioso che il sistema progettato generi un surplus energetico, producendo cioè più energia di quanta ne sia necessaria per il suo mantenimento. Questo principio riduce drasticamente la dipendenza da input esterni, promuovendo una vera autonomia ecologica. In questo contesto, chi pratica la permacultura non si pone come dominatore del paesaggio, bensì come un direttore d'orchestra che facilita l'armonia complessiva, permettendo a ciascun elemento del sistema di svolgere la propria funzione ottimale. Tale visione si allinea profondamente con l'antica saggezza delle popolazioni indigene, che imponeva di pianificare le azioni e le decisioni tenendo conto dell'impatto sulle sette generazioni future.